La dimensione umana del gioco d’azzardo pubblico
Non vi è alcun dubbio che quando si parla di qualsiasi settore industriale o commerciale oltre che di “affari” si parli anche di “persone” e del risvolto umano che tocca questo o quel segmento: come non si può pensare che non si voglia un settore ludico trasparente ed il più possibile sicuro in modo particolare per le persone sensibili. Va bene gli affari, il tornaconto economico, la tecnologia ed il progresso: ma tutto questo è sempre fatto di persone, coinvolgimenti e purtroppo a volte anche di brutte esperienze. Ma non è certo facendo sparire l’offerta del gioco legale (perché questo è il percorso che sembra essersi delineato per il mondo dei giochi e dei casino online nuovi) che si farà scomparire la “voglia di gioco e di divertimento”.
Non è espellendo l’offerta dai vari territori che si difendono i consumatori dal gioco patologico, ma magari si spingono verso l’offerta illecita: e non è neppure relegando oppure ancora “segregando” il gioco lecito in punti periferici lontani dai centri storici, che si pone uno sbarramento tra la voglia di gioco e la sparizione di questo “sentimento”. Neppure i distanziometri, così in voga nelle varie Regioni che li hanno applicati nell’interesse dei propri territori, sono destinati a tenere lontano il gioco da chi lo ricerca con consapevolezza e responsabilità, ma neppure da chi è compulsivo.
In questo modo, si fa iniziare soltanto una sorta di transumanza tra un paese e l’altro per cercare una sala giochi “aperta”: che sia legale o meno questo sinceramente poco importa. Insomma, costruire dei ghetti del gioco d’azzardo, dove perdersi, sarebbe veramente controproducente ed alquanto pericoloso. Ma quello sul quale riflettere è che le stesse leggi che vorrebbero tutelare i cittadini stanno finendo per compromettere proprio i medesimi, visto che le imprese dell’industria del gioco, inequivocabilmente, sono fatte di persone, di lavoratori ed imprenditori che dovrebbero essere considerati cittadini uguali a tutti gli altri, e non certamente “cittadini di serie B”. E che, se qualcuno dei nostri politici non ci avesse ancora pensato, a seguito di queste benedette Leggi sul Gioco finiranno in mezzo ad una strada!
“Non siamo sono numeri” è la frase che capeggia in mezzo ai cortei quando il settore ludico e quello dei casino online riesce a manifestare ed è quella che forse rimane più impressa e la più determinata ad esprimere l’esistenza di questi lavoratori e di questo settore. Solo che la politica, e particolarmente il Ministro del Lavoro, nonché vice premier penta-stellato Luigi Di Maio, sembra non vedere questi rischi seppure stiano diventando veramente imponenti e neppure quando questa categoria si ritrova costretta a dimostrare in piazza per essere considerata alla pari di tutti gli altri settori commerciali.
Questo concetto è la cosa più insopportabile della cosiddetta “Questione territoriale” che, ancora oggi, non sembra vicina ad una soluzione, ancorché le basi per arrivare ad un accordo nello scorso anno erano state “piantate” dalla Conferenza Unificata, gestita però da interpreti diversi di un’altra Legislatura. Nelle Regioni più a rischio, perché “a scadenza” con le rispettive Leggi sul Gioco, le istituzioni de-localizzate sono state obbligate a rendersi conto della situazione che si è venuta a creare ed, apparentemente, sono corse ai ripari con proroghe e “proroghette” in attesa che il Governo centrale metta in campo un riordino nazionale del settore.
Hanno preso atto della dimensione “umana” e non solo “industriale” del gioco pubblico che, come si ripete, è fatto di imprese e di lavoratori nella speranza che questa “presa di coscienza” possa portare ad un approccio diverso da quello tenuto sino ad ora dalle Regioni e dagli Enti Locali che sono andati avanti nei loro predeterminati percorsi per combattere il gioco problematico a mezzo di strumenti che non si sono certamente rivelati ottimali. Non ci si scordi che “l’umanità” del settore ludico si è dimostrata proprio recentemente quando ha “dovuto” manifestare di fronte alle istituzioni per richiedere di “poter sopravvivere e continuare a lavorare nel proprio settore”.
Si sono presentati tutti uniti: i vari segmenti della filiera, le associazioni e le organizzazioni sindacali che finalmente hanno iniziato a considerare i lavoratori dell’industria del gioco uguali a tutti gli altri. Anche i sindacati “ci hanno messo un po’” a sensibilizzarsi, ma alla fine le varie sigle si sono raggruppate ed hanno manifestato insieme ai propri tesserati. In qualsiasi Regione vengano svolte, queste manifestazioni hanno l’auspicio che dalla situazione di crisi in cui si trova l’industria ludica a causa delle varie norme regionali, possa veramente rinascere un nuovo settore, a questo punto sostenibile. Adesso “la palla” come è giusto che sia, passa al Governo centrale: deve risolvere la “questione territoriale” quanto prima, perché da questo discenderà, poi, tutto il resto del riordino del mondo dei giochi.
E questo deve avvenire il prima possibile perché per troppi anni il Governo è stato “latitante”. Non bisogna dimenticare che se si è arrivati a questo punto è proprio a causa delle ripetute “mancanze” dello Stato e dei Governi che via via sono succeduti e che hanno consentito alle Regioni ed agli Enti Locali di fare il “buono ed il cattivo tempo”, oltre tutto, allargando i loro poteri proprio nella citata Conferenza Unificata dello scorso anno. Così facendo, si è permessa la nascita di una serie infinita di norme con le quali si devono confrontare quotidianamente le imprese di gioco.
Ora più che mai i nodi stanno venendo al pettine e serve un riordino generale e nazionale del comparto degno di questo nome e che preveda, finalmente, anche l’adozione di un Testo Unico (o Legge Quadro) sui giochi. Il Governo del Cambiamento, quindi, ha la possibilità di mettere fine una volta per tutte alla Questione Territoriale e non correrà il rischio di passare come “il Governo amico delle lobby”, come è avvenuto per tutti gli altri Esecutivi precedenti, vista la distanza dei due schieramenti governativi dall’industria dei giochi, dai suoi operatori e dai suoi addetti ai lavori che sono, ancora una volta, “essere umani e non numeri”.
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